Durante i primi sei mesi di vita il latte materno, composto per circa il 90 % di acqua, copre interamente il fabbisogno idrico del neonato. Per questo l’OMS e l’UNICEF sconsigliano di aggiungere altre bevande, acqua inclusa, salvo diverse indicazioni del pediatra. Quando però compaiono le prime pappe, il panorama cambia: l’alimentazione diventa “complementare”, il latte non basta più per fornire ferro, zinco e alcune vitamine e, di pari passo, il bambino deve imparare a bere da un bicchiere. È qui che la scelta dell’acqua diviene fondamentale.
Per approfondire: “Ph dell’acqua: che cos’è e quali sono i livelli ottimali”
Residuo fisso: il primo numero da guardare
Immagina di far evaporare un litro d’acqua a 180 °C: quel velo di polvere che rimane è il residuo fisso, ovvero la quantità di sali minerali disciolti. Per i reni immaturi di un lattante l’ideale è restare sotto i 500 mg/L, soglia che identifica le acque oligominerali. Perché? Perché così l’organismo riceve una piccola quota di calcio e magnesio utili allo sviluppo osseo, ma senza un carico eccessivo di minerali che potrebbero affaticare l’apparato urinario.
pH, sodio e nitrati: gli altri indicatori di qualità
Un’acqua dal pH tra 7 e 7,5 rispetta la delicatezza di stomaco e intestino; un contenuto di sodio inferiore a 10 mg/L evita di alterare l’equilibrio idrosalino; nitrati sotto i 10 mg/L, infine, assicurano che il fluido non interferisca con la normale ossigenazione del sangue. Se l’etichetta riporta valori superiori, è meglio orientarsi su un’altra bottiglia.
Come (e quanto) introdurre l’acqua durante lo svezzamento
Nelle prime settimane basta offrire qualche cucchiaino d’acqua tiepida a fine pappa, magari da una minitazza: il bambino esercita lingua e labbra, coordina meglio deglutizione e respirazione e prende confidenza con il sapore neutro dell’acqua. Con il tempo passerà a un beccuccio e poi a un bicchiere; dosi e frequenza cresceranno di pari passo con la varietà degli alimenti. In media, verso l’anno di età, l’apporto giornaliero totale (tra bevande e cibo) raggiunge gli 800-900 mL, ma sarà la sete stessa a guidare il piccolo.
Perché molti pediatri suggeriscono Acqua Santo Stefano
Se leggiamo l’etichetta, troviamo residuo fisso 240 mg/L, sodio 2,96 mg/L, nitrati 7 mg/L: parametri che collocano Acqua Santo Stefano fra le oligominerali più leggere, perfette per sciogliere latte in polvere senza modificarne l’osmolarità e ottime per brodini e vellutate. L’acqua sgorga nel cuore del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, viene imbottigliata alla fonte ed è batteriologicamente purissima. Uno studio dell’Università di Napoli ha inoltre evidenziato come la sua composizione aiuti a prevenire i calcoli renali e favorisca l’eliminazione dell’acido urico, benefici utili a tutte le età, ma soprattutto nei primi anni di vita quando l’apparato urinario è più sensibile.
Consiglio da mettere subito in pratica
Tenere una piccola borraccia o una tazza graduata sempre a portata di mano durante i pasti, e riempirla con la stessa acqua utilizzata per le pappe, crea un’abitudine visiva: il bambino associa quel contenitore al momento di sete e impara a regolarsi. Al tempo stesso, i genitori possono monitorare con un colpo d’occhio quanta acqua viene effettivamente assunta nell’arco della giornata, evitando sia deficit sia eccessi.
In sintesi, la scelta dell’acqua durante svezzamento e crescita non è un dettaglio marginale: un profilo minerale equilibrato, povero di sodio e nitrati e con residuo fisso sotto i 500 mg/L, sostiene la maturazione dei reni, garantisce una reidratazione sicura e aiuta a impostare fin da subito buone abitudini di consumo.
Con i suoi parametri bilanciati e la purezza certificata, Acqua Santo Stefano accompagna ogni cucchiaino di pappa e ogni sorso in autonomia, offrendo ai genitori la tranquillità di aver messo in tavola un’acqua amica del benessere del loro bambino.
Consulta anche: “Acqua ai neonati durante lo svezzamento: quando e come iniziare”